FOCUS : Millennial: una generazione quasi perduta.

Posted on: Sab, 21/01/2017 - 16:13 By: salvatore.improta

 Riflessioni senza una soluzione.

di Salvatore Improta       Quadrato della Radio

Ernest Hemingway, nel suo primo romanzo,“The sun also rises”, (“Fiesta” in italiano), pubblicato nel 1926, introdusse , per la prima volta, il termine “the lost generation” ,” la generazione perduta” per indicare la generazione che aveva partecipato alla Grande Guerra. Il termine “perduta “, non era tanto relativo ai tanti giovani che avevano partecipato alla Grande Guerra ed erano scomparsi in battaglia (13 milioni), ma sopratutto ai sopravvissuti. Lost (perduta) stava quindi non tanto per scomparsa, ma soprattutto per persa, disorientata, insicura, a riconoscimento di quella che fu la mancanza di certezze e del grande vuoto di obiettivi e di speranza nel futuro, che esistevano tra i sopravvissuti della grande guerra nei primi anni del dopoguerra. Mancanze di certezze, di obiettivi, e talvolta di energia caratterizzano, dopo quasi un secolo, una altra generazione quella dei “millennial”, i nati nell’ultimo ventennio del millennio passato, figli di quelli che come me, hanno vissuto il boom economico e il benessere galoppante, che hanno potuto scegliere tra molteplici opportunità per migliorare il proprio stato sociale ed economico.

Sono la generazione del provvisorio, dell’incerto, del precario in tutto. Sono la generazione della giovinezza allargata.

Non sono una peculiarità dell’Italia, ma di tutto il mondo occidentale, anche se in Italia questa generazione appare più in difficoltà che negli altri paesi, tale da poterla definirla “generazione quasi perduta”.

“Vanno aiutati”, si sente spesso dire, e chi lo dice, lo dice talvolta con lo stesso tono di distacco che si usa quando si riferisce alle popolazioni dell’Africa Sud sahariana, senza forse una reale coscienza che i millennial dovevano essere il nostro presente e saranno il nostro futuro.

La mia generazione cioè quelli del “baby boom” è stata quella che ha goduto di un benessere in continua crescita, basato su un sistema produttivo solido, costruito per soddisfare un richiesta di beni di massa sempre crescente. E’ stata educata a valori religiosi e/o politici che hanno costituito un sistema di riferimento e un forte orientamento sia nella realtà individuale che collettiva. Ha goduto di una sovrastruttura sociale prevedibile, rassicurante, basata sulla famiglia tradizionale, sul posto fisso, su un welfare adeguato. Sostanziali mutamenti economici e sociali hanno invece profondamente cambiato il contesto in cui i millenial si trovano a vivere:

 

- Gli sviluppi tecnologi, che hanno progressivamente cambiato il mondo della comunicazione, della produzione, dei servizi, del sociale, rivoluzionando i tempi, i modi, l’organizzazione della vita professionale e di quella privata.

 

- Un più alto livello di scolarizzazione, apparso indispensabile per entrare in maniera appropriata nel mondo del lavoro, che ha comportato per i giovani l’allungarsi della permanenza in percorsi di formazione ed istruzione ed ha quindi posticipato il tempo in cui sono diventati forza lavoro attiva

 

- La stagnazione economica, che ha arrestato la crescita del benessere e, malgrado il più alto livello di scolarizzazione ha enormemente aumentate le difficoltà per i giovani ad accedere al mondo del lavoro.

 

- Il sistema economico, diventato instabile, che ha imposto una esasperata flessibilità nell’utilizzo delle risorse umane, creando una grande precarietà occupazionale aggravata per di più da bassi salari.

 

- La scomparsa di sistemi di riferimento olistici, sia laici che religiosi, che fornivano una risposta comune ad alcune domande esistenziali, e di norme tradizionali socialmente condivise, che assicuravano un orientamento individuale e di massa, la cui mancanze hanno portato ad un relativismo diffuso dei valori individuali.

 

In Italia sono circa 12 milioni i millennial. Molti, per il contesto che abbiamo descritto, vivono ancora con i genitori: i giovani nella fascia di età 25-34 anni che vivono ancora in famiglia sono il 48,4%, tale percentuale sale nella fascia 18- 24 anni al 92,6%.

Sono pochi quelli che si sono sposati, che convivono, che fanno figli. Il tasso di disoccupazione tra i millenial nel 2016 è stato del 22,5 % il doppio della media nazionale , ma ancora più preoccupante è il tasso di occupazione che è solo il 48,8%

Dei 12 milioni di millenial italiani quindi solo 6 milioni hanno un posto di lavoro, che è spesso precario e mal pagato

Quelli che vivono al di fuori della famiglia, che hanno cercato l’indipendenza, non se la passano bene.

Sono evidenti gli esiti di un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo ko economicamente i millennial. Nel confronto con venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli anziani è invece aumentato del 24,3%. La ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per la media degli italiani la ricchezza, rispetto a 25 anni fa, è aumentata del 32,3% e per gli anziani addirittura dell'84,7%.

Ed è per questo che la casa dei genitori e diventata per molti millennial il rifugio in cui ripararsi per sopravvivere e dove, tanti tra mille frustrazioni, vivono una specie di giovinezza allargata.

I millenial non sono un fenomeno solamente italiano, ma è presente con differenti livelli di gravità in tutto il mondo occidentale.

In Italia è sicuramente più grave.

L’ Italia è un paese che è cresciuto pochissimo negli ultimi 20 anni, molto meno del resto dell’Europa, che si è poco rinnovato, che non potendo più utilizzare la svalutazione della lira, ha cercato di guadagnare competitività, attraverso bassi salari, e flessibilità attraverso un precariato spinto, che vede nell’uso spropositato dei voucher, la sua punta di diamante.

Un paese che si è dimostrato incapace di utilizzare il suo giovane capitale umano se non parzialmente e talvolta in maniera inadeguata sfiorando talvolta lo sfruttamento.

Eppure pensavamo di averli preparati bene i nostri ragazzi al futuro. Sono molto più istruiti dei pari età di 25 anni fa. Il 23,5 è laureato, percentuale ancora inferiore alla media europea, ma quasi il doppio dei pari età di 25 anni fa.

Ma in molti casi questa maggiore scolarizzazione non è servita a molto.

Il tasso di occupazione dei laureati di età compresa tra i 25 e i 34 anni nel 2015 è stato il 62%,(media OCSE 83%), addirittura inferiore di un punto percentuale al tasso di di occupati dei pari età che hanno solo un diploma di secondo livello.

 

Ma quello che è ancora più preoccupante, è che in Italia, oltre un terzo dei giovani tra i 20 e i 24 anni, cioè circa un milione, sono NEET, (Not in education, employment or training), cioè sono giovani che contemporaneamente non sono inseriti in un percorso scolastico o formativo e non sono impegnati in un’attività lavorativa).Il tasso più elevato tra i Paesi dell’OCSE.

Il fatto che molti giovani senza attività lavorativa non abbiano scelto di proseguire gli studi è chiaramente dovuto al fatto che l’ istruzione sembra non pagare lo sforzo fatto per ottenerla: non favorisce nella media, come abbiamo visto, un più veloce inserimento nel mondo del lavoro, non facilità il raggiungimento di una maggiore stabilità, ne fa accedere a salari sostanzialmente più alti.

Infatti dopo 5 anni solo circa il 50% dei laureati ha un contratto a tempo determinato ed i laureati dopo 5 anni di lavoro percepiscono un stipendio medio che è inferiore a quello medio di tutti gli italiani: 1560 euro, uno dei più bassi in Europa.

Alcune facoltà naturalmente danno maggiori possibilità come medicina, lauree scientifiche e ingegneria, ma la maggiore istruzione sembra non risolvere al momento in Italia i problemi dei millennial anzi per alcuni ne ha aggravato le frustrazioni, a causa dello sforzo non premiato.

Infatti in Italia nel 2015 il tasso di ingresso degli studenti in un corso di laurea di primo livello è stato del 37%, molto inferiore rispetto alla maggior parte dei Paesi dell’OCSE ed in diminuzione da unpo di anni a questa parte.

Nel 2007, Tommaso Padoa-Schioppa, l’allora ministro dell’economia, presentando la manovra economica di quell’anno alle commissioni bilancio di Camera e Senato, si applicò in una filippica contro i giovani che stavano ancora alle dipendenze dei genitori.”Mandiamo i «bamboccioni fuori di casa»”, sintetizzò con estrema brutalità e molta ironia. Il ministro faceva così riferimento alla norma presente nella manovra che prevedeva agevolazioni sugli affitti per i più giovani. “Incentiviamo a uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi. È un'idea importante»”, metteva in evidenza il titolare del Tesoro.

La semplicità della ricetta del ministro per risolvere il problema dei “bamboccioni”, fa capire come questo problema sia stato affrontato molto superficialmente in Italia da tanto tempo.

C’è adesso qualcuno addirittura che arrivato alla conclusione che i nostri giovani sono mollaccioni “ridicoli” e quindi sono da prendere in poca considerazione anzi sono da deridere: lo scrittore Amleto Da Silva, autore del "Dizionario Illustrato dei #giovanimerda”, libretto che sta avendo un certo successo addirittura tra le stesse vittime del suo sarcasmo.

Quindi invece di indagare seriamente sul profondo disagio di questi giovani, disagio che penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive ed orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce e distrugge le passioni,e di cui non sono personalmente responsabili se non in minima parte, si fa del loro malessere, delle loro debolezze motivo di satira se non di sberleffo.

Alcuni millennial, che hanno sufficiente energia hanno cercato fuori dell’Italia le organizzazioni dove poter mettere a frutto le proprie competenze e capacità. Sono stati oltre 107 mila gli italiani espatriati nel 2015, 6.232 persone in più rispetto all'anno precedente, con un incremento pari al 6,2%. Hanno fatto le valige soprattutto i millennial, il 36,7%, circa 40000 di cui 15000 laureati. Ormai sono quasi 5 milioni gli italiani all'estero. Dal 2006 al 2016 la mobilità italiana è aumentata del 54,9% passando da poco più di 3 milioni di iscritti all'Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero) a oltre 4,8 milioni .

Naturalmente questo dato è stato denunciato dai media. Titoloni sui giornali quali “La fuga dei cervelli : il paese si impoverisce” esprimevano una preoccupazione che era tutta di chi li scriveva e non probabilmente del governo o dei datori di lavoro italiani.

Il ministro Poletti commentando i dati sull’emigrazione si esprimeva in questi termini : “Come Centomila giovani se ne sono andati dall’Italia? Sì, ma non è che qui sono rimasti 60 milioni di pistola. Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Questo fa capire, anche a valle delle smentite di Poletti e del suo entourage, come il problema di questa generazione in Italia continua ad essere trascurato, se non da parecchi politici addirittura ignorato. Un commento più equilibrato è venuto dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha detto "Il nostro Paese ha una storia antica di emigrazione. Una storia di sofferenze e di speranze.“omissis” “I flussi non si sono fermati e, talvolta, rappresentano un segno di impoverimento piuttosto che una libera scelta ispirata alla circolazione dei saperi e delle esperienze." “omissis” “I nostri giovani devono poter andare liberamente all'estero, così come devono poter tornare a lavorare in Italia, se lo desiderano, e riportare nella nostra società le conoscenze e le professionalità maturate.” 

Un bellissimo discorso da condividere in linea di massima. Ma bisogna anche porsi la domanda perché mai tanti nostri giovani che hanno le competenze e l’energia per farlo partono in frotte dall’Italia e quasi nessuno giovane dagli altri paesi occidentali viene in Italia a maturare conoscenze e professionalità. Il nostro presidente dice anche che i nostri giovani devono poter andare liberalmente all’estero, così come devono potere tornare a lavorare in Italia. Ma il ritorno della maggioranza di questi giovani con “le conoscenze e le professionalità maturate” sarà possibile solo se l’ evoluzione del paese sarà stato nel frattempo tale da cancellare le fondamentali debolezze strutturali che hanno costretto questi giovani a lasciarlo. Debolezze strutturali, di cui l’ attuale crisi non è stata la causa principale perché tante sono antecedenti alla stessa, ma che perdurando e aggravandosi, sono pesantemente responsabili del grande disagio di questa “ generazione quasi perduta”.

Forse si è ritenuto che 12 milioni non erano un forza elettorale tale da sconvolgere gli equilibri, soprattutto, perché molti di essi essendo “mollacioni cretini” non sarebbero andati a votare .

I risultati del referendum invece hanno mostrato che i millennial coalizzati possono essere determinanti nel muovere gli equilibri elettorali e lo sono infatti stati nel determinare la vittoria dei NO, con percentuali che secondo alcune fonti sono arrivate fino all ‘80%

Risultato che è stato interpretato da parecchi come segnale di scontento indirizzato al governo guidato da Renzi, ma che, sono convinto, non sarebbe assolutamente cambiato se al governo ci fossero stati altri, perché il loro il voto è stato un segnale di scontento rivolto al paese nella sua globalità.